|
Giovanni Abatangelo
Università & Industria
Ritratto esclusivo
E' presidente e responsabile scientifico del consorzio Tissue
Tech, forse il più importante esempio di collaborazione
università-industria del nostro Paese, oltre che ricercatore
di livello internazionale nel settore dell'ingegneria dei tessuti.
La ricostruzione in vitro per scopi di trapianto della pelle umana, ed in particolare
del suo strato più superficiale, l'epidermide, ha rappresentato storicamente
già negli anni '70 uno dei primi validi esperimenti in quella branca della
biotecnologia nota come ingegneria dei tessuti (di cui abbiamo già trattato
nel Volto del mese di settembre 2001 dedicato a Ranieri Cancedda).
Già in quegli anni infatti si era riusciti a far moltiplicare in laboratorio
le cellule dell'epidermide, i cheratinociti, prelevati dai pazienti e a realizzare
interi foglietti epidermici reimpiantabili (almeno teoricamente allora) dal chirurgo
sui pazienti stessi ad esempio nei casi di ustioni e di ulcere gravi.
Ma perché questi primi risultati uscissero dai laboratori per entrare
nell'armamentario quotidiano della medicina si dovette aspettare sino agli inizi
degli anni '90.
Intorno a quel periodo infatti la crescita esponenziale degli studi e delle conoscenze
sui processi moltiplicativi delle cellule della pelle stimolò la nascita
a livello mondiale di poco meno di una diecina di iniziative industriali finalizzate
a trasformare in supporti per il chirurgo i risultati di queste conoscenze.
Di quelle iniziative una, destinata a divenire estremamente significativa nel
panorama mondiale, era italiana: la Fidia Advanced Biopolymers, di Abano Terme
(Padova).
L'ingegneria dei tessuti, per coltivare e moltiplicare le cellule
del tessuto desiderato prelevate dal paziente, abbisogna di una
struttura di supporto capace di ospitare la proliferazione cellulare
in provetta ma anche di farsi accettare dal corpo in cui il chirurgo
la trapianta insieme alle cellule che ospita. Una struttura di
supporto capace poi di degradarsi lentamente nel corpo in cui è stata
trapiantata lasciando spazio all'ulteriore moltiplicazione delle
cellule del paziente sino alla sua completa sostituzione da parte
di queste ultime.
Nel 1992, promettenti ricerche dell'Università degli Studi
di Padova indicarono un candidato ideale per il ruolo di materiale
di supporto nell'ingegneria tissutale della pelle in una molecola
ricavata "per imitazione" di una sostanza ampiamente
diffusa negli spazi tra le cellule della pelle stessa: l'acido
ialuronico.
Con lungimiranza, una qualche disponibilità di mezzi finanziari
e una buona dose di coraggio una azienda farmaceutica di Abano
Terme, in provincia di Padova, chiamata FIDIA, nota per i suoi
farmaci nel campo neurologico, decise di investire in questo candidato
materiale di supporto per l'ingegneria tissutale, battezzato HYAFF,
fondando una azienda dedicata al suo sviluppo chiamata appunto
Fidia Advanced Biopolymers (FAB).
Lo storico legame tra la casa madre FIDIA e l'Università di
Padova, nato nell'ambito delle ricerche sui farmaci ad azione neurologica,
trovò quindi una naturale evoluzione nella costituzione
di un Consorzio tra la neo nata FAB e la stessa Università:
il consorzio Tissue Tech, di cui sin da subito fu presidente e
responsabile scientifico Giovanni Abatangelo, docente di Istologia
all'ateneo Padovano, i cui studi si erano dimostrati fondamentali
per lo sviluppo delle applicazioni della nuova molecola HYAFF.
Il consorzio si poneva per scopo lo sviluppo delle tecnologie
per la produzione di tessuti umani da utilizzare nella pratica
clinica; all'azienda di Abano Terme spettava lo sviluppo dei tessuti
e dei supporti costituiti di HYAFF oltre che la commercializzazione
di prodotti derivati dalle ricerche, ad Abatangelo e all'Università la
messa a punto delle tecniche per far effettivamente crescere le
cellule su questi supporti e in fine ad altri centri universitari
di eccellenza del nostro paese, entrati in seguito nel consorzio,
la sperimentazione sui pazienti delle tecnologie sviluppate.
I risultati non tardarono ad arrivare.
Proprio grazie alle ricerche di Giovanni Abatangelo e del suo gruppo
di ricerca presso il Dipartimento di Istologia, Microbiologia
e Biotecnologie Mediche dell'Università di Padova si passò dalla
coltivazione del solo strato superficiale della pelle a quella
più complessa del suo strato più profondo: il derma
(le cui cellule si chiamano fibroblasti).
La coltura di cellule dell'epidermide (i cheratinociti) su un
vetrino non presenta particolari problemi. Le cellule si possono
far riprodurre a piacimento ottenendo anche metri quadrati di superfice
cellulare a partire da un centimetro quadrato di prelievo sul paziente.
Con un limite: le cellule si moltiplicano in lungo e in largo ma
senza stratificarsi e quindi senza dare spessore al tessuto organico
che si produce. Ciò complica la vita al chirurgo chiamato
a trapiantarlo sul corpo di un paziente costretto a lavorare con
una struttura fragilissima.
Una prima applicazione della molecola HYAFF portata avanti da
Abatangelo fu quindi quella di utilizzare un "foglietto" sottile
come carta e di una diecina di centimetri quadrati, prodotto con
la molecola dalla FAB, per farvici crescere su la pelle da trapiantare.
Il risultato clinico risultava estremamente significativo. Il chirurgo
disponeva finalmente di un supporto maneggiabile con una certa
sicurezza, ricoperto di cellule del paziente, e senza rischio di
rigetto essendo il materiale del supporto una sostanza simile a
quelle presenti nel corpo dell'uomo.
La coltura di cellule del secondo strato della pelle, il derma,
presentava parecchie difficoltà in più. Per sua natura
le cellule che lo costituiscono, i fibroblasti, hanno una struttura
a strati sovrapposti tridimensionale molto intricata.
La riproduzione di un miracolo della natura così complesso
richiedeva la realizzazione non di un semplice supporto ma di una
intelaiatura tridimensionale con buchi e cavità all'interno
delle quali far proliferare e intrecciare tra loro i fibroblasti.
Sempre a partire dalla molecola HYAFF, FAB produsse una specie
di "feltrini" morbidi adatti a questo scopo e potenzialmente
impiegabili anche per lo sviluppo di altri tessuti organici le
cui cellule richiedono una struttura di supporto tridimensionale
per proliferare in maniera utile.
Abatangelo e il suo gruppo di ricerca mise quindi a punto le tecniche
per fare si che anche i fibroblasti si riproducessero all'interno
di questo supporto poroso, depositando le sostanze tipiche del
derma come i vari tipi di collagene, la fibronectina, la laminina,
e altre.
Nel 1998, per la prima volta al mondo nei laboratori dell'Università di
Padova, dopo diversi tentativi, vennero infine assemblate le due
tecnologie per ottenere in laboratorio delle strutture composite
derma-epidermide.
Da allora le ricerche sono continuate nella direzione del successivo
e ancora più impegnativo compito di far sviluppare nel derma
anche i capillari.
Già a partire dal 1996, a quattro anni dalla sua nascita,
il consorzio Tissue Tech iniziò a dare i suoi primi frutti
industriali: un servizio che permette di fornire a tutti gli ospedali
italiani ed e europei lembi di epidermide e di derma coltivata
a partire da un piccolissimo espianto cutaneo del paziente stesso,
impiegati nel trattamento degli ustionati e per la cura delle ulcere
croniche, in particolare quelle del piede diabetico e quelle di
origine vascolare.
Ad oggi sono circa 350 i centri ospedalieri che si avvalgono di
questo servizio e più di 1600 i pazienti trattati negli
ultimi 3 anni.
La pelle umana è un capolavoro di ingegneria naturale:
ha uno spessore di pochissimi millimetri, è un sottile velo,
però impermeabile, elastica, capace di rinnovarsi grazie
ad un continuo ricambio di cellule. Normalmente molto resistente
a tagli e abrasioni, quando viene danneggiata, come nei casi delle
ustioni, delle piaghe da decubito, delle ulcere come complicazione
di altre patologie, di nevi giganti, insorgono per il paziente
gravissime conseguenze.
Nelle ustioni ad esempio, quando ad essere bruciato è il
derma, cioè lo strato profondo fatto di dieci livelli di
cellule il paziente, privato delle difese della pelle su ampie
parti del corpo è soggetto a gravissime infezioni, spesso
con esiti mortali.
Ogni anno in Italia sono circa 200 gli ustionati gravi, di cui
più del 50% è costituito da bambini. Spesso all'origine
di terribili incidenti sono, secondo le statistiche, comunissimi
barbecue e falò.
Per loro l'intervento d'urgenza consiste nel coprirli con pelle
di cadavere.
Un trattamento impressionante per un profano, ma nella maggioranza
dei casi salvavita.
Grazie alla tecnologia sviluppata dal consorzio presieduto da Abatangelo,
dopo 23 giorni circa quegli stessi pazienti possono tornare ad
avere la loro pelle.
Queste le fasi della procedura: il medico del centro ospedaliero
preleva dal paziente circa 1 centimetro quadrato di pelle per uno
spessore più o meno di 0,8 millimetri, che viene consegnato
da un corriere ai laboratori FAB di Abano Terme. Qui vengono separati
derma ed epidermide. Dal derma vengono estratti i fibroblasti che
insieme ad altre tipologie di cellule lo costituiscono e dall'epidermide
vengono estratti i cheratinociti.
Per i due tipi di cellula viene iniziata la fase di espansione
che dura circa 8 giorni ed è necessaria per aumentare il
numero di cellule disponibili.
In una seconda fase, della durata di altri 8 giorni, le cellule
vengono seminate su due supporti di materiale ricavato dalla molecola
HYAFF (chiamati rispettivamente Hyalograft 3D e Laserskin).
Al sedicesimo giorno dall'inizio della procedura Hyalograft 3D,
contenete i fibroblasti viene inviato all'ospedale e innestato
sulla ferita del paziente. Dopo circa 7-10 giorni, con l'attecchimento
di questo derma sostitutivo, sulla ferita viene applicato il supporto
Laserskin con i suoi cheratinociti.
Il risultato, in termini estetici resta riconoscibile dalle porzioni
di pelle originale del paziente. Fibroblasti e Cheratinociti sono
infatti le due famiglie più numerose di cellule della pelle,
ma in mezzo a loro si trovano nella pelle sana molteplici sostanze
di contorno e altri tipi di cellule (fibre elastiche, collagene,
vasi sanguinei, bulbi piliferi, ghiandole sudoripare e sebacee,
melanociti), che contribuiscono tra le altre cose a definirne il
colore.
Allo stato attuale dunque quella prodotta in laboratorio risulta
una pelle "semplificata", ancora inadatta per applicazioni
estetiche ma comunque salvavita.
Se l'impiego delle ricerche di Abatangelo e del suo gruppo che
colpisce di più l'immaginazione riguarda le ustioni, fortunatamente
questo tipo di impiego interessa un numero di pazienti relativamente
basso.
Più ampio è invece il loro utilizzo nel trattamento
delle ulcere croniche (lesioni della pelle) e in particolare di
quelle legate al diabete. Il cosiddetto "piede diabetico" interessa
infatti il 15% dei pazienti diabetici, che solo in Italia sono
circa 4 milioni.
In termini statistici circa 60 pazienti diabetici su 10.000 subiscono
ogni anno un intervento di amputazione legato al degenerare delle
ulcere provocate alla pelle del piede dalla loro malattia.
Un costo sociale enorme, cui i reimpianti cutanei permessi dalla
tecnologia del consorzio Tissue Tech stanno offrendo una significativa
opzione terapeutica capace di evitare in molti casi l'amputazione.
Nel settembre del 1997, FAB, già presente con il suo servizio
di moltiplicazione cellulare in Italia e in Europa, firmò un
significativo accordo di commercializzazione internazionale con
una azienda del gruppo farmaceutico Bristol Meyers Squibb (la ConvaTec)
iniziando la commercializzazione su scala mondiale del suo servizio.
A riconoscimento delle specialistiche competenze sviluppate dall'azienda
italiana, la Commissione Europea, nell'ambito del V Programma Quadro
per lo sviluppo Scientifico e Tecnologico ha individuato FAB come
l'azienda europea di riferimento per le attività di ricerca
e sviluppo nell'ingegneria dei tessuti.
Ma le ricerche portate avanti da Giovanni Abatangelo così come
dal consorzio Tissue Tech non si sono limitate ai tessuti cutanei.
Usando sempre la stessa filosofia - cellule umane su supporti di
biomateriale - all'Università di Padova e alla FAB di Abano
Terme è stata messa a punto la riproduzione della cartilagine
articolare.
La cartilagine articolare è il sottile strato di tessuto
che ricopre l'osso a livello delle articolazioni. La sua funzione è quella
di assorbire gli shock prodotti dal movimento e trasmessi attraverso
le ossa ad esempio della gamba. Malgrado la sua robustezza, carichi
eccessivi o sbilanciamenti sulle articolazioni, incidenti sportivi,
e malattie infiammatorie (come l'artrite e l'osteoartrosi) possono
danneggiarla.
Indipendentemente dalla causa, la prognosi delle malattie che coinvolgono
la cartilagine è sempre infausta, in quanto la lesione,
una volta procurata ha la tendenza a non guarire, ma anzi a peggiorare
con il passare degli anni fino a sviluppare l'artrite. Ciò a
causa di una scarsa capacità autoriparativa del tessuto
cartilagineo, le cui uniche terapie sino ad ora si basavano sulla
riduzione del dolore e della rigidità dell'articolazione
tramite farmaci antinfiammatori e programmi di fisioterapia.
Nei casi più gravi, addirittura, per lesioni molto estese
si rendeva necessario l'inserimento di una protesi di metallo per
la sostituzione totale o parziale del ginocchio.
Analogamente a quanto messo a punto per la pelle, per la riproduzione
della cartilagine, in artroscopia (mediante l'introduzione di una
sonda nel ginocchio) il chirurgo preleva un frammento di cartilagine
sana e lo affida al laboratorio FAB di Abano Terme. Qui le cellule
cartilaginee (i condrociti) vengono isolate e fatte crescere all'interno
di una matrice polimerica sempre derivata dall'acido ialuronico,
fino a formare un tessuto che il chirurgo può utilizzare
per riempire difetti della cartilagine del paziente in modo da
ricostruirne l'integrità.
In questo caso, come intuibile, i numeri di pazienti potenzialmente
interessati a questo tipo di trattamento è ancora maggiore
che per i diabetici.
Il primo trapianto con questa tecnologia risale al 1999 e ad oggi
sono stati trattati circa 300 pazienti in vari centri italiani,
con una pressoché completa ripresa della funzionalità articolare.
Superata la fase di sperimentazione clinica, oltre alle lesioni
seguenti a traumi sono candidati a questo tipo di trattamento anche
quelle degenerative connaturate con l'età.
Altri progetti sono in fase di sviluppo, seppure in fase meno
avanzata. La ricostruzione di tendini è già oggetto
di un progetto di ricerca della Comunità Europea, mentre
ancora più indietro si è per quanto riguarda la ricostruzione
dei tessuti duri come l'osso, e la ricostruzione di organi come
il fegato e il pancreas. In questi filoni di sviluppo si inseriscono
le ricerche sulle cellule mesenchimali staminali, prodotte dallo
stroma, o tessuto di sostegno del midollo osseo del paziente stesso.
Dette anche cellule "pluripotenti" per la loro capacità,
a differenza delle altre cellule dell'organismo, di svilupparsi
in modi differenti a seconda del luogo in cui vengono inserite
e del trattamento a cui vengono sottoposte, sino a diventare ad
esempio cellule ossee piuttosto che tessuto adiposo, o cartilagine,
muscolo, etc., queste cellule, con adeguati stimoli ormonali e
metabolici, utilizzando fattori di crescita, costituiscono una
via capace di portare alla rigenerazione di qualsiasi tessuto.
Ma le ricerche in questo campo sono in Italia come nel mondo ad
uno stadio ancora abbastanza iniziale.
Il gruppo padovano di Abatangelo le ha sino ad ora efficacemente
impiegate sempre per la riparazione della cartilagine articolare.
Giovanni Abatangelo è nato in provincia di Taranto, a Massacra
nel 1940.
Laureatosi in Medicina e Chirurgia a 25 anni nel 1965 presso l'Università di
Padova, in quello stesso ateneo si è specializzato in Patologia
Clinica.
Dal 1968 al 1969 l'inevitabile esperienza americana, come Post-doctoral
fellow presso il dipartimento di biochimica della Baylor University,
a Houston, Texas, dove si è occupato di ricerca sulla caratterizzazione
dei glicosaminoglicani del tessuto connettivo.
Nel 1970 rientrato in Italia ha conseguito la Libera Docenza in
Istologia ed Embriologia Generale e nel 1975 è diventato
Professore Ordinario di Istologia ed Embriologia Generale presso
la facoltà medica di Padova dove opera tuttora.
A partire dalla metà degli anni '80 ha orientato la sua
attività di studio e di sperimentazione nel settore dell'ingegneria
dei tessuti, in particolare nel campo delle applicazioni di biomateriali
derivati dall'acido ialuronico come supporti per le colture cellulari.
Tra il 1995 e il 1998 è stato Presidente della European
Tissue Repair Siciety, ed è tuttora Presidente della Società Italiana
di Biologia Cutanea e membro dell'Editorial Board della rivista
Wound Repair and Regeneration.
E' stato organizzatore e Presidente di congressi internazionali
tra cui il 1° e 2° International Symposium on Cutaneous
Development Aging and Repair nel 1981 e 1987, entrambi tenutisi
a Padova e il 5° Annual meeting of the European Tissue Repair
Society.
Nel 2000 ha organizzato a Padova il Convegno Internazionale "Redefining
Hyaluronan" in cui si sono confrontati i più importanti
studiosi mondiali dell'acido ialuronico, l'elemento naturale da
cui il consorzio Tissue Tech ha ricavato le molecole per i propri
materiali biocompatibili.
Quello di Giovanni Abatangelo e del consorzio Tissue Tech costituisce
forse il più riuscito modello italiano di collaborazione
università-undustria, essendo stato capace di portare sul
mercato risultati della ricerca non solo scientificamente e clinicamente
all'avanguardia ma anche commercialmente molto interessanti, in
grado di competere con le realtà americane più avanzate
di questo settore.
Biotecnologia: come cambieranno le nostre abitudini
secondo Giovanni Abatangelo.
Intervista realizzata a Padova a fine dicembre 2001
Biotecnologia.it - I prodotti e le possibilità che ogni
nuova tecnologia mette a disposizione dell'uomo lentamente, con
costanti spostamenti quasi impercettibili, ne modificano le abitudini
quotidiane. Questo è il fenomeno per cui anche solo a distanza
di pochi decenni le generazioni, le mode e i costumi sembrano essere
così differenti.
Le chiedo di immaginare per noi quali nuove abitudini, frutto diretto
o indiretto della biotecnologia, quasi impercettibilmente andremo
ad apprendere nei prossimi anni, come ridisegneranno il nostro
quotidiano modo di "essere uomini", e con quali nuovi
problemi ci confronteremo in seguito a queste nuove abitudini.
Abatangelo - Ponendosi dalla parte dell'uomo della strada, ci si
può rendere conto che la quantità di messaggi provenienti
dal mondo scientifico sulle aspettative di vita più lunga
e migliore, sulle crescenti possibilità di intervenire e
risolvere diverse situazioni di patologie acute e croniche, pone
la biotecnologia in una prospettiva affascinante e allo stesso
tempo non priva di elementi inquietanti.
Non si può negare che le modifiche genetiche apportate
su organismi viventi, il possibile utilizzo di cellule prelevate
da embrioni umani, i trapianti eventuali di organi di animali transgenici,
la possibilità di creare organi e tessuti in laboratorio
creano da una parte aspettative e fiducia nel progresso biotecnologico
e dall'altra timori per uno sconvolgimento del vivere quotidiano
così come lo abbiamo inteso finora.
Credo che lentamente l'accettazione rassegnata dei ritmi biologici
sia del singolo individuo che del mondo che ci circonda, il convincimento
di dipendere, nel bene e nel male, dai fenomeni naturali possa
modificarsi nel nostro profondo, magari in un modo inconscio.
La constatazione che l'intervento dell'uomo possa modificare la
vita nei suoi meccanismi più delicati, possa forzare la
natura, creando nuove forme di vita che una volta erano affidate
soltanto alla casualità dell'evoluzione, non può non
modificare il nostro vivere quotidiano.
E' pur vero che l'aspirazione profonda, sicuramente legata alla
nostra essenza biologica, di superare i limiti della natura è nata
con l'uomo e si è sempre manifestata durante il lungo percorso
compiuto sinora dall'umanità.
Oggi, però, si delineano delle prospettive diverse, si
intravede la reale possibilità di intervenire sul mondo
naturale che ci circonda, di modificare il corso di alcuni eventi,
soprattutto biologici.
E' questo, forse, il motivo che può spingerci ad un immaginarci
diversi in un futuro molto prossimo.
Allo stesso tempo questo ci trova impreparati nell'esprimere un
giudizio e diventa difficile dire se certe scelte che l'uomo può fare
siano corrette o meno.
[ inizio pagina ]
|