Arturo
Falaschi
Paesi in via di Sviluppo e biotecnologia
Ritratto ed intervista esclusiva
E' Direttore generale dell'International Centre for Genetic
Engineering and Biotechnology (ICGEB), con sedi a Trieste (Italia)
e New Delhi
(India), il centro di ricerca sulla biotecnologia di cui nel 1983
ventisei "Paesi in Via di Sviluppo" hanno deciso di dotarsi
per portare collettivamente avanti ricerche capaci di avere ricadute
a beneficio del loro sviluppo, oltre ad essere un insigne ricercatore
dei meccanismi di base di replicazione del DNA nelle cellule umane.
Il Centro che dirige costituisce l'unica organizzazione al mondo
nel campo della biotecnologia retta da Paesi in Via di Sviluppo
e che gode della piena fiducia
di tutti i Paesi industrializzati, ruolo non facile parlando di biotecnologia.
Soprattutto quando biotecnologia significa tra le altre cose monitoraggio del
rispetto della Convenzione per il disarmo biologico o della Convenzione per
la protezione della biodiversità.
Le attività dell'ICGEB vanno dalla formazione post universitaria
per ricercatori provenienti dai paesi aderenti a ricerche avanzate
per aiutare i paesi membri a gestire autonomamente le applicazioni
della biotecnologia e le problematiche relative alla sicurezza
del loro impiego.
Dal marzo 2001 il l'ICGEB è anche divenuta organizzazione
di riferimento dell'ONU nel campo della postgenomica e della ricerca
biotecnologica con compiti di consulenza.
Il Centro, ospitato, per quanto riguarda la sede italiana, all'interno
dello del parco tecnologico di Trieste Area Science Park, conta
nelle sue due sedi più di 270 ricercatori, di 28 nazionalità diverse.
Arturo Falaschi è nato a Roma nel 1933 e si è laureato
con lode in Medicina a Milano nel 1957 a 24 anni.
Subito dopo la laurea, dal 1958 al 1959, il servizio militare,
prestato come ufficiale medico.
Poi un biennio come borsista del Comitato Nazionale per le Ricerche
Nucleari, dal 1959 al 1961: in anni di grande fervore scientifico
sul tema, presso l'Istituto di Fisiologia dell'Università di
Ferrara, iniziò a lavorare con il Prof. E. Boeri allo studio
dell'effetto delle radiazioni sull'attività di diversi enzimi.
La biochimica è una passione che verso la fine del 1961
lo porterà come Postdoctoral fellow oltre oceano, in California
allora mecca della ricerca biochimica e della nascente ricerca
biotecnologica.
Vi si fermerà per quattro anni, fino al 1965, presso il
dipartimento di Biochimica dell'Università di Stanford,
dove sotto la guida del Prof. A. Kornberg si dedicherà allo
studio dei meccanismi di attivazione della replicazione del DNA
nei batteri e nelle spore batteriche.
Nell'ottobre del 1965 il rientro in Italia, come ricercatore presso
l'Istituto di Genetica dell'Università di Pavia, e nel 1966
l'ottenimento della abilitazione all'insegnamento in Biologia molecolare.
Nello stesso anno otterrà la sua prima cattedra iniziando
ad insegnare appunto Biologia molecolare come professore incaricato
presso la facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
dell'Università di Pavia.
Insegnamento che terrà sino al 1979: tredici anni di attività didattica
nella città lombarda in cui sarà dal 1970 al 1987
Direttore dell'Istituto di Genetica Biochimica ed Evoluzionistica
del CNR di Pavia da lui fondato.
Maturerà frattanto la sua passione per lo studio della
biologia molecolare "con gli occhi del fisico", nata
nei suoi anni ferraresi. Passione che lo porterà anche ad
essere dal 1970 al 1973 presidente della Società Italiana
di Biofisica e Biologia Molecolare.
Dall'agosto del 1971 sarà Direttore di Ricerca del CNR,
e dal 1976 membro della European Molecular Biology Organization
(EMBO) di cui dal 1979 al 1983 sarà poi membro del comitato
per l'assegnazione delle borse di ricerca.
Dal 1978 al 1984 tra i suoi numerosi incarichi annovererà anche
quello di Direttore della Scuola di Perfezionamento in Genetica
dell'Università di Pavia, già in quegli anni uno
dei centri di eccellenza italiani in questo settore.
Sempre nel 1978 viene nominato presidente della Commissione del
Ministero della Sanità per lo studio delle attività sul
DNA ricombinante.
A questo punto della sua carriera la sua vita sta per incrociarsi
con l'International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology
concepito nel 1983.
Nel 1983, sotto l'egida delle Nazioni Unite, infatti 26 Paesi
in Via di Sviluppo e alcuni Paesi industrializzati a conclusione
di un convegno internazionale tenutosi a Madrid firmano un trattato
per la costituzione di un centro di ricerca comune sulla biotecnologia
con la finalità di aiutare i paesi aderenti a gestire autonomamente
le applicazione di queste nuova tecnologia.
L'anno dopo, nel 1984, i paesi firmatari si reincontrano a Vienna
e stabiliscono che il Centro avrà due sedi, localizzate
a Trieste e a New Delhi, e una rete di laboratori universitari
affiliati negli stati membri.
I lavori per la costituzione del centro proseguono negli anni successivi
e nel 1987 l'ICGEB inizia le sue attività come uno speciale
programma delle Nazioni Unite.
Del programma, Arturo Falaschi sarà nominato dapprima direttore
della componente Triestina (dal 1987) e poi Direttore Generale
dal 1989.
Nel 1994 diviene finalmente effettivo lo statuto ratificato nel
1983 dai paesi aderenti e l'ICGEB si presenta al mondo come una
organizzazione intergovernativa, internazionale e autonoma. Il
Board of Governors, costituito dai rappresentanti dei paesi membri,
in quella occasione riconferma per altri cinque anni Arturo Falaschi
come Direttore Generale. Carica che nel 1999 gli verrà nuovamente
riconfermata per un successivo mandato di 5 anni .
Con un mandato totale che a fine 2004 sarà stato di 17
anni, Falaschi ha dimostrato di saper raccogliere il consenso dapprima
di 26 Paesi in Via di Sviluppo, divenuti poi 46 con lo status di
membri e di altri 19 con lo status di paesi associati, su una tematica
così delicata come la biotecnologia per i paesi emergenti.
Un risultato non da poco che premia il ricercatore ma anche il
nostro paese rafforzandone la vocazione al coordinamento della
cooperazione scientifica internazionale.
E sono proprio l'Italia e l'India, i due paesi ospitanti le sedi
del ICGEB, a finanziare il budget del centro nel periodo di transizione
sino al 1999, anno in cui diventeranno effettivi i finanziamenti
da parte degli stati membri.
Nel corso della sua attività l'ICGEB sino ad oggi ha fornito
formazione di alto livello per 400 ricercatori e per 3000 studenti
provenienti dai paesi membri, producendo nel contempo quasi un
centinaio di pubblicazioni internazionali e diversi brevetti di
potenziale rilevanza per gli stati aderenti.
Le linee di ricerca del Centro e dei laboratori negli stati membri
da esso coordinati sono orientate verso due direzioni: la prima
volta alla soluzione di malattie ereditarie e infettive - soprattutto
tubercolosi e AIDS - che costituiscono un problema rilevante per
i paesi membri, e alla lotta al cancro. A Trieste in particolare
gli sforzi sono orientati verso la messa a punto di metodologie
nuove di terapia genica, e allo studio della malaria e dell'epatite.
Per la malaria il Centro conta di cominciare nel 2002 la sperimentazione
di un vaccino in India.
La seconda direzione di ricerca, portata avanti soprattutto a
New Delhi, riguarda le piante, che i ricercatori del Centro cercano
di proteggere da due agenti perniciosi: gli insetti dannosi e l'alta
concentrazione salina dei suoli.
I ricercatori sono riusciti ad identificare alcuni geni che normalmente
rendono alcune varietà di piante capaci di crescere pur
in presenza di concentrazioni di sale molto elevate. Una premessa
importante per sconfiggere il deficit alimentare in tutti quei
paesi carenti di suoli coltivabili a causa dell'alto grado di salinità.
Per quanto riguarda l'inserimento di geni che rendano le piante
resistenti a parassiti specifici il Centro ha poi messo a punto
una metodologia consistente nell'inserimento dei geni estranei
nel DNA dei cloroplasti - organelli presenti nelle cellule vegetali
deputati alla produzione di clorofilla -, metodologia che costituisce
una importante innovazione in quanto il polline nelle sue migrazioni
non porta via con sé il DNA dei cloroplasti, riducendo praticamente
a zero la possibilità che queste piante transgeniche possano
contaminare altri organismi.
Un problema quello della sicurezza degli organismi geneticamente
modificati tra le priorità indicate dai paesi membri al
ICGEB.
Tra le attività "di servizio" del Centro per
i laboratori dei paesi membri ve ne è poi uno consistente
nella fornitura di speciali tipologie di topi per esperimenti.
Nei diversi laboratori del mondo sono stati nel corso del tempo
sviluppati topi con particolare predisposizione genetica a sviluppare
particolari e specifiche malattie come ad esempio un particolare
tipo di tumore alla pelle o al colon.
Questi topi costituiscono un modello fondamentale per le ricerche
su quelle specifiche malattie e una risorsa preziosa per il laboratorio
che li impiega.
La disponibilità di tali animali anche da parte di laboratori
dei Paesi in Via di Sviluppo può permettere loro di svolgere
ricerche secondo le più recenti tecniche su quella particolare
patologia.
Proprio in Italia, in un istituto del CNR a Roma, esiste l'archivio
dei topi transgenici europeo, il secondo al mondo dopo quello americano,
finanziato con fondi della Commissione Europea.
L'ICGEB con uno specifico accordo con il centro di Roma fornirà ai
paesi membri delle varietà di topo necessarie per lo svolgimento
delle loro ricerche.
Nel marzo del 2001, con un accordo di cooperazione, le Nazioni
Unite hanno conferito al ICGEB l'importante ruolo di loro organizzazione
di riferimento nel campo della postgenomica e della biotecnologia.
In virtù di tale investitura il Centro ha avuto l'incarico
di organizzare nella primavera del 2002 a New York un simposio
internazionale sui progressi, le potenzialità e i rischi
della ricerca postgenomica col fine di indirizzare le future decisioni
delle Nazioni Unite su questi temi.
Gli attentati terroristici portati contro gli Stati Uniti nel
settembre del 2001 hanno spinto i paesi membri delle Nazioni Unite,
tra altre azioni intraprese, ad orientare i loro interessi verso
un nuovo coinvolgimento dell'ICGEB nell'ambito della Convenzione
per il disarmo biologico.
La convenzione, che risale ai primi anni Settanta, era nata da
un accordo per la messa al bando delle armi chimiche. Tale accordo,
poi comprensivo delle armi chimico batteriologiche, prevedeva tutta
una serie di obblighi: dai controlli nei laboratori alla distruzione
dei quantitativi già prodotti e stoccati.
Tra le norme da attuare c'erano le cosiddette Confidence building
measure, iniziative per assicurare anche ai paesi meno avanzati
la disponibilità delle tecnologie a loro utili.
In quest'ambito l'ICGEB aveva svolto sin da subito un ruolo centrale
se pure numerosi paesi industrializzati ne avevano osteggiato in
parte l'attività non condividendo l'opportunità di
trasferire conoscenze in campo biotecnologico ai Paesi del Terzo
Mondo.
Dopo gli attentati portati agli Stati Uniti nel settembre 2001,
il ruolo dell'ICGEB di organismo retto dai Paesi in Via di Sviluppo
che gode la piena fiducia dei Paesi industrializzati ne ha rivalorizzato
la funzione nell'ambito della convenzione per il disarmo biologico.
Nel corso della sua carriera all'ICGEB, Arturo Falaschi è stato
per il CNR Direttore del progetto finalizzato "Ingegneria
Genetica e Basi Molecolari delle Malattie Ereditarie" dal
1982 al 1989.
E' stato anche dal 1991 al 1994 membro del Comitato per lo sviluppo
europeo della scienza e della tecnologia della Commissione Europea.
In successione gli sono poi stati conferiti numerosi incarichi
diversi dei quali tutt'ora ricopre.
Tra gli altri ricordiamo quelli di Vice presidente del Comitato
nazionale per le biotecnologie del Ministero per la ricerca scientifica
e tecnologica (dal 1985), membro dell'European science and technology
assembly dell'Unione europea (dal 1994), Membro dell'Accademia
Europea (dal 1997), Membro della Third World Academy of Sciences
(sempre dal 1997), Membro del Consiglio direttivo del CNR (dal
1999) e Presidente del Council of scientists dello Human Frontier
Science Programme Americano (ancora dal 1999).
Nel 1998, dal Presidente della Repubblica italiana, gli è stata
conferita la medaglia d'oro e il diploma di prima classe riservati
ai Benemeriti della scienza e della cultura.
La sua attività scientifica dal 1965 ad oggi si è rivolta
a diversi aspetti del funzionamento del DNA, studiato a livello
molecolare.
Nei primi anni gli studi sono stati svolti su di un batterio, il
bacillus subtilis, che costituiva un ottimo modello per comprendere
i meccanismi della molecola DNA.
Negli ultimi venti anni il focus si e spostato concentrando l'attenzione
sugli stessi processi che coinvolgono il DNA nelle cellule umane.
Tra le principali realizzazioni di Falaschi occorre ricordare
la dimostrazione della replicazione discontinua del DNA umano,
lo studio degli enzimi che alterano la capacità di riparazione
del DNA in pazienti affetti da malattie ereditarie, l'individuazione
di origini di replicazione del DNA umano e lo studio degli eventi
che portano alla loro attivazione e l'identificazione e descrizione
delle DNA elicasi presenti nelle cellule umane.
Biotecnologia: come
cambieranno le nostre abitudini secondo Arturo Falaschi.
Intervista realizzata a Trieste a metà gennaio 2001
Biotecnologia.it - I prodotti e le possibilità che ogni
nuova tecnologia mette a disposizione dell'uomo lentamente, con
costanti spostamenti quasi impercettibili, ne modificano le abitudini
quotidiane. Questo è il fenomeno per cui anche solo a distanza
di pochi decenni le generazioni, le mode e i costumi sembrano essere
così differenti.
Le chiedo di immaginare per noi quali nuove abitudini, frutto diretto
o indiretto della biotecnologia, quasi impercettibilmente andremo
ad apprendere nei prossimi anni, come ridisegneranno il nostro
quotidiano modo di "essere uomini", e con quali nuovi
problemi ci confronteremo in seguito a queste nuove abitudini.
Falaschi - E' da prevedere che le biotecnologie modificheranno
in modo significativo la percezione della nostra persona riguardo
ai problemi della salute e dell'attesa di vita.
Dalla decifrazione dell'enorme ricchezza di dati racchiusi nella
sequenza del genoma umano, potrà derivare la conoscenza
delle sequenze del DNA che influenzano in modo più o meno
diretto e più o meno complesso lo sviluppo e il mantenimento
fisiologico della nostra persona.
E' da immaginare che tra qualche decennio si potranno conoscere,
dall'analisi del genoma di ogni individuo, le forme patologiche
a cui può essere più predisposto, il tipo di attività fisica
per cui è più portato, una probabile attesa di vita
in determinate condizioni ambientali.
Questo comportarà il pericolo non indifferente che determinati
assetti genici inducano, ad esempio, le società di assicurazioni
sulla vita o per le malattie (soprattutto là dove non vi è un
servizio sanitario pubblico efficiente) a privare certi individui
della copertura assicurativa o sanitaria se non a prezzi proibitivi.
Da queste considerazioni deriverà l'esigenza di introdurre
una regolamentazione giuridica che assicuri al solo individuo la
conoscenza dei propri dati biologici: non c'è dubbio peraltro
che questa esigenza entrerà in contrasto con le pressioni
degli assicuratori e dei datori di lavoro per condizionare le prestazioni
o l'assunzione alla disponibilità di quelle conoscenze:
l'equilibrio che si raggiungerà dipenderà certamente
dalla temperie politico-sociale dei paesi avanzati nei prossimi
decenni.
Un discorso analogo si può fare per la disponibilità di
approcci terapeutici basati sulle nuove tecnologie (particolarmente
la terapia genica e le sue derivazioni) che potranno permettere
tra qualche decennio la guarigione di un grande numero di malattie
che hanno attualmente una forte incidenza sulla salute collettiva:
tumori, malattie infettive, malattie genetiche, malattie metaboliche
e cardiocircolatorie.
Questo comporterà un ulteriore aumento dell'attesa di vita
e dell'età media della popolazione, creando così una
problematica sanitaria diversa da quella attuale, ma di cui non
siamo ancora in grado di valutare la gravità. Nel complesso,
però, ci possiamo aspettare che le popolazioni dei paesi
avanzati vivranno essenzialmente in miglior salute e più a
lungo.
Per quanto riguarda la produzione agroalimentare, una volta superate
le attuali polemiche derivanti dalla tendenza, promossa dalle multinazionali,
all'uso indiscriminato di organismi transgenici ottenuti con tecnologie
relativamente rozze e poco "ragionate", è da prevedere
che l'impiego agricolo di organismi geneticamente modificati studiati
per avere il minimo impatto sull'ambiente e le migliori caratteristiche
per la qualità del prodotto, si diffonderà rappresentando
un'ulteriore fase di evoluzione dell'agricoltura, che potrà offrire
prodotti con alta qualità nutritiva o industriale, con metodologie
particolarmente immuni dalla necessità di ausilii chimici
inquinanti per il terreno e per i consumatori.
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